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Vi siete mai chiesti perché la Polonia si sia sem

Vi siete mai chiesti perché la Polonia si sia sempre trovata in mezzo a casini geo-politici di ogni tipo, soprattutto nell’ultimo secolo, tanto da spostare gli equilibri dell’intera Europa?
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Vi siete mai chiesti come si sia arrivati a quella che è la Polonia di oggi tra critiche, miti, azioni eroiche e scelte decisamente opinabili? Nello specifico, vi siete mai chiesti perché oggi il nazionalismo e la repressione dilaghino sempre più sul territorio polacco?
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Noi una risposta ce l’avremmo pure: servirebbe un po’ di storia. Oggi apriamo una piccola rubrica di @alessiomann sulla storia polacca del Novecento inserita nel quadro generale europeo. Il nostro vuole essere un percorso graduale che si sofferma sì sulle questioni politiche e sociali, ma che è soprattutto capace di condurci sino alla Polonia dei giorni nostri, per cogliere nel migliore dei modi l’essenza del momento storico che stiamo vivendo, dal mito di Papa Wojtyła ai politici di destra che prendono in braccio femboy vestiti da maid alle fiere del fumetto, dalle proteste per il diritto all’aborto a Sexify.

La prima parte è online, link in bio!

Non è domenica, ma gli Adelphi stanno sempre bene

Non è domenica, ma gli Adelphi stanno sempre bene. Oggi si ritorna in Mitteleuropa, nei bei tempi di quando c’era Leo (Perutz). Nato a Praga da una famiglia di piccoli commercianti di origine ebrea, si trasferisce con la famiglia a Vienna, dove studierà matematica ed economia, frequentando però i circoli letterari.
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È proprio nell’ambiente intellettuale viennese che si formerà come autore, subendo le influenze di Karl Kraus e di altri intellettuali della capitale. Di ritorno dalla guerra, inizia a pubblicare romanzi che riscuotono enorme successo in terra germanofona. La particolarità dello stile di Perutz, infatti, sta nella commistione dei generi storico e fantastico, cuciti insieme in trame che si diramano tra i caffè di Vienna, i ghetti ebraici e la magia di Praga.
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Quasi un Borges dell’Austria decadente, ne Il maestro del giudizio universale, tradotto in italiano da Margherita Belardetti, lo scrittore fa irrompere l’irrazionale nella vita del barone von Yosch, che dopo il suicidio dello sposo della bella Dina, contesa tra i due, si ritrova a indagare su una serie di delitti inspiegabili sullo sfondo della Vienna degli anni Venti. Quello che nei primi capitoli si prospettava un mistero come un altro, per quanto all’apparenza insolubile, si scoprirà essere un affare soprannaturale, ben più oscuro di quanto un semplice uomo sia in grado di fronteggiare.
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Il nostro cervello reca in sé un mostro in letargo, scriveva Perutz, ed è nella pluralità dell’inconscio che si annidano la fantasia, la paura e la vertigine di fronte ad una fine del mondo inaspettata. A cavallo tra Vienna e Firenze, dove il rimbombo demoniaco del rosso “trommatico” di un dipinto visionario riecheggia nelle tenebre dell’animo umano, von Yosch cerca di dipanare i fili della realtà in un romanzo che, unendo la quotidianità decadente della borghesia viennese all’Unheimlichkeit, dà un assaggio di una sensibilità quasi kafkiana, che in Perutz soccombe tuttavia al nichilismo.
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Un autore obbligato per tutti gli appassionati di letteratura mitteleuropea!

Karel Hynek Mácha (1810-1836) è, nonostante la m

Karel Hynek Mácha (1810-1836) è, nonostante la morte precoce a causa del colora, il più importante rappresentante del Romanticismo ceco. Nonostante venga ricordato come uno dei più grandi poeti cechi dell’Ottocento, è anche autore di altre opere, come il romanzo “Cikáni” (Gli zingari). Il poeta è stato reso celebre grazie alla sua unica opera pubblicata in vita, “Máj” (Maggio). Questo poema, uno dei più stampati e studiati di tutta la letteratura ceca, è stato tradotto da Alessandra Mura, curato da Annalisa Cosentino ed edito da @marsilioeditore.
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Il poema ha una struttura che si divide in quattro canti e due intermezzi, all’interno dei quali viene raccontata la vicenda di Jarmila e Vilém, entrambi personaggi con nomi parlanti. Jarmila significa in fatti “colei che ama la primavera”. Il nome di Vilém è, invece, di più difficile interpretazione e può rimandare sia alla forma colloquiale del verbo vyliti (versare) sia al tedesco Wille (volontà). Tutto si svolge in maggio, il mese in cui si manifesta l’ordine della natura e il fine del poeta è quello di “celebrare la bellezza della natura in maggio”. La riflessione elaborata da Mácha riguarda la condizione umana. Al di là della vita concreta c’è solo l’indistinto, un’eternità che è al tempo stesso tanto attraente quanto atroce. Lungo tutto il testo emergono continuamente contrasti, come quello tra la dimensione della morte e quella della vita. Tuttavia, sono opposti che non si scontrano, ma si conciliano secondo un ordine del mondo superiore. La natura è al tempo stesso benigna e matrigna, nessun concetto viene mai polarizzato.
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La fortuna del “Maggio” di Mácha attraversa tutto il Novecento per arrivare fino ai giorni nostri. Difatti, nel 2009 è stato realizzato un film omonimo ad opera del regista František Brabec. La sua opera esercitò una forte attrazione anche negli anni dell’avanguardia, dove il suo significato venne in un certo senso re-interpretato. Karel Teige lo definisce infatti un “rivoluzionario” la cui poesia è ispirata dal sogno della libertà umana, che sta al di sopra della semplice comunicazione. “Máj” viene definito un appello di libertà e di amore contro la selvaggia ira del tempo.

Qualche mese fa vi abbiamo parlato di Buio, romanz

Qualche mese fa vi abbiamo parlato di Buio, romanzo della scrittrice di fantascienza polacca Anna Kańtoch. Ad averci colpito, oltre alla prosa evocativa, elegante e in grado di scavare nel torbido, è stata la capacità dell’autrice di creare una storia pluristratificata che attinge dalla tradizione mitteleuropea di scrittori come Schulz e Mann, sovvertendola però con la messa in scena di soggettività atipiche.
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Grazie a @carbonio_editore e Salvatore Greco abbiamo avuto la possibilità di intervistare Kańtoch; le abbiamo posto delle domande sullo stato della letteratura di genere in Polonia e della sua evoluzione dai tempi del comunismo, sulla possibilità di interpretazione del romanzo e sulla rappresentazione di soggettività queer in un Paese conservatore e ultracattolico.
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Trovate l’intervista al link in bio, buona lettura!

Orientalismo: la Treccani lo definisce “l’atte

Orientalismo: la Treccani lo definisce “l’atteggiamento caratterizzato da uno spiccato interesse e da una forte ammirazione per ciò che è orientale, per la civiltà e la cultura dell’Oriente”, ma la realtà è ben più complicata, e i Balcani ne sono consapevoli.
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Lo studioso e intellettuale Edward Said, autore del saggio intitolato appunto Orientalismo, rovesciò l’accezione originaria mettendo in luce il paternalismo e l’eurocentrismo che hanno permesso di derubricare intere civiltà come “l’Altro”.
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È esattamente quanto accaduto alle terre balcaniche, terre di passaggio e di convivenza di religioni, culture e popoli diversi, che dopo secoli di sguardo occidentale finirono per introiettarlo orientalizzando se stesse. Se però una simile lente sembra inevitabile, ci fu un autore, Ivo Andrić, che riuscì a sovvertirla, mostrando il vero volto dei suoi Balcani.
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Ce ne parla stasera @saraverghi con un pezzo bellissimo, trovate il link in bio o su estranei.org!

Tra maternità, vita e morte, “La ragazza d’au

Tra maternità, vita e morte, “La ragazza d’autunno” si è aggiudicato un’importante nomination agli Oscar 2020 per la categoria miglior film in lingua straniera. Il giovane regista russo Kantemir Balagov si è ispirato al reportage La guerra non ha un volto di donna del premio Nobel Svetlana Aleksievič.
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Siamo a Leningrado nel 1945, agli sgoccioli della seconda guerra mondiale. Le protagoniste, Iya e Maša, sono divise dal conflitto: la prima, rimanendo in città si occupa del figlio di Maša, Paška, mentre quest’ultima è a combattere al fronte. Dopo il ritorno dal fronte, le due si riuniscono e lavorano come infermiere per i feriti di guerra, ma a causa di una serie di eventi, nulla risulta essere come prima.
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La pellicola è una burrasca di emozioni, talvolta molto, molto contrastanti; dimostra in maniera cruda, dal punto di vista esclusivamente femminile, la realtà della guerra, seppur questa non compaia direttamente sullo schermo. Le ferite più profonde vengono lasciate proprio da quegli echi ancora troppo forti e troppo vicini.
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Ciò che colpisce lo spettatore è senza dubbio il focus sulla psiche, nonché sull’elaborazione e convivenza con forti traumi. Particolare è oltretutto l’attenzione da parte della regia per i particolari, come ad esempio la ricorrenza (quasi ossessiva) delle tinte verdi nel film.
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Consigliatissimo!