Comunismo e musica proibita: breve storia dei Plastic People of the Universe tra 1968 e 1988

“In un’intervista ci hanno chiesto se fossimo politici o meno. Eravamo convinti che non si trattasse mai di politica, su questo ha ragione Mejla. Tuttavia, aveva del politico il fatto che il regime reagisse in quel modo, ci sentiva suoi nemici […].”

 

I Plastic People of the Universe, anche soprannominati Plastici, sono un gruppo iconico del periodo in cui la Cecoslovacchia stava affrontando i duri anni del regime comunista. Scegliere di parlare dei Plastic – “Plastici”, come vengono comunemente soprannominati – è una soluzione funzionale a due aspetti: il primo riguarda il ruolo fondamentale che la loro produzione svolse; il secondo è dovuto al fatto che, nel presentare i Plastic, è possibile abbracciare un periodo di tempo fondamentale, che va dal 1968 al 1989, due date fondamentali per la storia del paese. Brevemente, il 1968 corrisponde alla fine del Pražské jaro (la Primavera di Praga), determinata dall’invasione del paese da parte delle truppe del Patto di Varsavia. Il 1989, data chiave della storia europea, è invece l’anno della Sametová revoluce (la Rivoluzione di Velluto) e della consecutiva caduta del regime. 

 

Prima di iniziare a parlare nello specifico dei Plastic, sono necessarie alcune premesse iniziali. La nascita del rock cecoslovacco ha a che fare, principalmente con la diffusione della musica dei Beatles, il gruppo che nel 1980 avrebbe cantato “I’m back in the U.S.S.R. / You don’t know how lucky you are, boy / Back in the U.S.S.R. (Yeah!)”. Questo processo determinò la creazione di una vera e propria Beatlemania anche in quei paesi a est del Muro. La ricezione della musica rock occidentale segnò in modo indelebile le vite dei giovani che vedevano in queste manifestazioni culturali un’attrazione fortissima, nonché una sorta di via d’uscita dalle situazioni in cui riversavano i loro paesi. C’è da dire che, nel caso del panorama musicale cecoslovacco, questo godette sin dai tardi anni Quaranta di un’influenza occidentale, in particolare da parte dello scenario jazz americano.

 

La fortuna delle espressioni musicali occidentali in Cecoslovacchia si lega a un fenomeno molto più ampio che riguarda la cultura tout court, in particolare la letteratura americana. Già sin dalla seconda metà degli anni 50, ad esempio, Josef Škvorecký – autore di Zbabelci, “I vigliacchi” e figura di riferimento fondamentale per i dissidenti all’estero – traduce voci della letteratura americana del calibro di Ernst Hemingway, Ray Brandbury e, negli anni Sessanta, William Faulkner o Francis Scott Fitzgerald. Con il diffondersi delle band iconiche “a ovest” ha così inizio quella che viene definita in termini di “bigbit era”, che vede il proliferare delle cosiddette “garage bands”. A incrementare l’attrazione dei giovani per le espressioni della cultura occidentale concorre anche un altro evento importante: la visita di Allen Ginsberg in Cecoslovacchia, il poeta rappresentante la Bit Generation. Dopo aver accettato l’invito di alcuni studenti della Karlova Univerzita, arrivò nella capitale nel marzo 1965. Immediatamente iniziò a tenere letture pubbliche nella stessa Praga e a Bratislava, fino a quando non venne fatto espellere dal Partito nel maggio dello stesso anno, in quanto i suoi scritti vennero considerati “moralmente pericolosi”, soprattutto nei confronti dei giovani.

 

 

L’influenza che ebbero Ginsberg e i Beatles sulla scena culturale cecoslovacca non è da sottostimare. La nuova generazione cecoslovacca, sentendo stretto il sistema sociale imposto dal Partito, iniziò a creare una propria scena culturale underground. Non bisogna infatti dimenticare la situazione in cui riversava la cultura all’indomani della dichiarazione dell’adesione a un sistema politico comunista da parte di Gottwald. Una situazione che si venne a mitigare solo nei primi anni Sessanta prima dell’invasione del 1968.  Proprio nei primi anni Sessanta si formano, in particolare, due band importantissime, ovvero gli Olympic e i Primitives (la prima band del genere della psichedelia in Cecoslovacchia). Sintomatica la scelta da parte di entrambe le band di adottare dei nomi inglesi, azione che venne severamente vietata dopo il Sessantotto, in quanto sintomo di simpatizzazione nei confronti dell’Occidente. In entrambi i gruppi è chiaro l’indirizzo musicale che venne adottato. Se infatti si ascolta una canzone degli Olympic come Dej mi víc své lásky (Dammene di più del tuo amore), non è difficile riconoscere una chiara influenza della band di Liverpool:

 

 

Si assistette così a un vero e proprio incremento della scena rock, che vide la proliferazione anche di riviste, centri culturali e organizzazioni affini. Questo idillio culturale venne però interrotto dalla fine della Primavera di Praga e dal conseguente fallimento del progetto di Dubček di dare vita a un comunismo dal volto umano. Il 21 agosto, data dell’invasione dei carri armati sovietici, segnò quindi un punto di svolta nella cultura cecoslovacca e un irrigidimento delle misure di controllo di quest’ultima. Le sorti del panorama musicale furono essenzialmente tre. Molte band sparirono non riuscendo ad adattarsi alle nuove imposizioni. Altre, come i già citati Olympic, si adattarono cambiando sonorità e atteggiamento. Altre ancora, invece, sprofondarono nella cultura underground. Per dare ancora un’idea di come, a livello ufficiale, si assistette a una vera e propria “normalizzazione” (per usare il termine corretto) della cultura, basti pensare che l’ultimo concerto autorizzato fu quello dei Beach Boys avvenuto al Lucerna di Praga nel maggio del 1969.

 

 

Quale momento migliore se non un mese dopo l’invasione per fondare un gruppo come quello dei Plastic People of the Universe? Il fondatore fu Milan Hlavsa, soprannominato Mejla. Classe 1951, si era avvicinato al genere della psychedelia (in ceco Psychedelický rock) ascoltando gruppi come i The Velvet Underground, inizialmente una delle sue principali fonti di ispirazione. Ai Velvet si possono tranquillamente accodare anche i Doors, i The Fugs, nonché i Pink Floyd di The Piper at the Gates of Dawn. I riferimenti, almeno quelli principali, non finiscono qui. Difatti, il nome del gruppo è una citazione diretta di una canzone di Frank Zappa, appunto Plastic People.

 

Plastic people / You gotta go / Yeah, yeah, yeah, yeah, yeah, yeah / Plastic people / You gotta go-uh!

 

Inoltre, Hlavsa non era alla sua prima esperienza ma si era già inserito all’interno della scena musicale dell’epoca partecipando ad altre iniziative musicali. Tra i primi membri della band, insieme a Hlavsa, occorre citare Josef Janiček (ex-chitarrista dei Primitives) e Ivan Jirous, importante figura teorica e già membro dei Primitives. Egli veniva, inoltre, comunemente soprannominato “magor”, che in ceco significa “matto”. Oltre a questo, inoltre, non dobbiamo dimenticare il canadese Paul Wilson. Quando Wilson, infatti, arrivò a Praga nel 1967 dopo essersi laureato a Oxford, mai si sarebbe immaginato di “istruire” i membri della band alla moda musicale occidentale. Wilson ebbe, inoltre, non pochi problemi con il regime, soprattutto inseguito al suo tentativo di organizzare delle lezioni su Andy Warhol. Con il suo prezioso, Hlavsa scrisse i primi testi che presentano un’atmosfera particolarmente cupa, una cupezza sottolineata musicalmente dal sax di Vratislav Brabenec, che a differenza degli altri membri appartiene alla generazione di artisti precedenti. Non si tratta, però, solo di testi originali, ma anche di poesie prese in prestito sia da poeti cechi come Jiří Kolář, sia da voci della poesia straniera come William Blake. Wilson fu, inoltre, front man tra il 1970 e il 1972, anno in cui inseguito a un concerto che venne interrotto dall’irruzione della polizia, venne espulso dal paese. A partire da quell’evento, alla band venne impedito di esibirsi nella capitale. Le limitazioni per i Plastic iniziano già a partire dal 1970, motivo per cui la loro musica circolava principalmente tra gli amici e i fan più stretti.

 

 

 

 

Il debutto del gruppo avviene con delle cover di alcuni brani cardine dell’epoca come Light my fire dei Doors o Venus in Furs dei Velvet. Tuttavia, nel frattempo, era già chiara la formazione di un percorso musicale personale. Il primo importante album registrato dai Plastic, se non si considerano i primi due album live Muž bez uší (“L’uomo senza orecchie”) e Vožralej jak slíva (“Divora come una prugna”) è Egon’s Bondy Happy Heart Club Banned, realizzato tra il 1973 il 1974 nella campagna boema. Il titolo è un riferimento diretto a Sgt. Pepper’s Lonely Heart Club Band, album del 1967 dei Beatles. La sua distribuzione in Occidente, a insaputa del gruppo, avvenne invece quattro anni più tardi, nel 1978. Dal punto di vista tecnico, è forse uno degli album più riusciti, dove elementi tipici della psichedelia si mischiano a sonorità jazz. Come lascia intuire il titolo, i testi erano invece stati scritti da Egon Bondy, eccentrico protagonista e “guru” dell’underground ceco, un vero e proprio punto di riferimento per le generazioni di giovani cresciuti all’ombra del regime. Lungo tutti gli anni 70 e 80 i Plastic continuarono a registrare album e a diffonderli attraverso il supporto degli amici e dei fan. Un sostegno particolarmente importante venne dato al gruppo da Václav Havel, punto di riferimento soprattutto morale del dissenso, che mise a loro disposizione la sua chalupa a Hrádeček.

 

Qual era la situazione di quegli anni in Cecoslovacchia? Siamo fermi al 1968 e alla successiva intensificazione dei controlli e della censura. Una limitazione della libertà a cui gli intellettuali iniziano ad opporti organizzandosi secondo quel sistema che prende il nome di dissidenza. Nel 1974, l’anno del primo disco, Magor organizza il primo festival musicale della cultura underground, è un’accusa diretta al Partito e alle sue disposizioni. Due anni più tardi, nel febbraio del 1976, viene organizzato il secondo festival, che però ha esiti drammatici. Difatti, il potere centrale decide che non è più possibile tollerare questo tipo di affronto. Gli effetti sono diversi: i testi dei Plastic vengono definiti “antisocialisti, anarchici, decadenti” e quattro membri del gruppo vengono, insieme a Jirous, arrestati. Simile è anche la sorte di Wilson, che viene espulso dal paese. Chi conosce le dinamiche dei paesi satellite dell’URSS non rimane di certo stupito di fronte a questi avvenimenti. Le cose si fanno, però, particolarmente interessanti. L’arresto dei Plastic smuove le file dei dissidenti, tra cui Václav Havel che, fingendosi un cugino, riesce a entrare in contatto coi detenuti. In nome di quel principio patočkiano di “vivere nella verità” Havel sfrutta le sue conoscenze per rendere noto il caso dei Plastic anche oltrecortina. Gli esiti sono incredibili per l’epoca: oltre alla scarcerazione del gruppo si ebbe anche la creazione del documento più importante della dissidenza, la “Charta 77” che rivendicava i diritti della Dichiarazione di Helsinki di cui il paese si era fatto firmatario.

 

Gli anni Settanta, nonostante la censura, risultano molto prolifici per i Plastici, vengono infatti prodotti diversi album che vengono fatti circolare non solo nell’undergorund ma anche all’estero. Nel 1978, viene registrato Pašijové hry velikonoční (Giochi di passione pasquali), dove i brani, che rappresentano una resa rock della passione di Cristo, sono scritti da Vratislav Brabenec. Il 1979 è la volta di Jak bude po smrti (Come sarà dopo la morte) che, invece, è strettamente legato a Ivan Klíma, una delle figure intellettuali più famose di quegli anni. Lo stesso vale per gli anni Ottanta in cui, nonostante l’emigrazione forzata di Vratislav Brabenec in Canada, il gruppo continuò la sua attività tra produzione musicale e concerti improvvisati. Molti di questi concerti, che si svolgevano fuori dalle città, venivano interrotti dalla polizia (StB) che, molte volte diede anche fuoco ai luoghi in cui i giovani si ritrovavano per ascoltare quella musica proibita. Se si vuole capire l’ambiente in cui si muovevano gruppi come i Plastici in questi due decenni, è necessario guardare a uno dei libri più importanti dedicati alla scena musicale e letteraria cecoslovacca: Visioni dall’interno. La letteratura e la cultura underground ceca (1945-1989) edito dallo studioso Martin Machovec. Tra gli interventi è presente uno scritto di Paul Wilson del 1983, che commenta la situazione musicale del paese come segue:

Dieci anni fa i Plastic People erano praticamente soli. Adesso la loro progenie procede. Anche se vengono ufficialmente sanzionate, le riviste musicali mostrano il fatto che il rock’n’roll è in fibrillazione in Cecoslovacchia. Eppure la band che ha mantenuto viva la fiamma nel corso degli anni Settanta non viene mai nominata. Ufficialmente, i Plastic People non esistono.

 

Dopo una crisi del gruppo nel 1988, tre membri (Hlavsa, Janíček e Kabeš) decidono di cambiare nome e di chiamarsi Půlnoc (“Mezzanotte”). Il nome viene giustificato dallo stesso Hlavsa come il risultato della fascinazione che la mezzanotte esercita, essendo il momento in cui “un giorno muore e al tempo stesso inizia il successivo”. All’alba del crollo del regime prese così il via una nuova fase per gli ex-Plastic, a cui venne data la possibilità di esibirsi non solo in patria ma anche all’estero.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *