Jindřich Štyrský tra nuove sintesi artistiche e artificialità delle forme

[…] tutte le torri d’avorio saranno distrutte, la poesia purificherà tutte le genti, tutte le parole saranno benedette e l’uomo, che sarà finalmente in armonia con la realtà, potrà soltanto chiudere gli occhi perché gli si aprano le porte dei prodigi.”

Con questa citazione di Paul Éluard, tratta da L’Amore la Poesia, si chiude un saggio canonico del teorico ceco Karel Teige, dedicato all’evoluzione poetica e artistica dell’avanguardia, dai dettami del poetismo al tramonto del surrealismo interbellico. Con il Novecento si apre una nuova era dell’arte, il realismo ottocentesco viene smantellato dalle nascenti avanguardie, il cui centro nevralgico viene tradizionalmente posto nella ridente Parigi, un ambiente che ai tempi pullula di giovani artisti e scrittori provenienti da ogni dove. La stagione delle avanguardie invade tutto il continente europeo, come in Germania con Kandinskij e Der blaue Reiter o in Italia con il Futurismo marinettiano. Anche a Praga, cuore della Mitteleuropa, si forma un gruppo coeso di avanguardisti, sotto la guida dei dettami teorici di Karel Teige. Nella Cecoslovacchia di allora, uno dei paesi nati dal crollo dell’Impero austro-ungarico, gli intellettuali percepiscono il bisogno impellente di guardare fuori dai loro confini nazionali, attratti soprattutto dal contesto francese e da quello russo. Tra questi, emerge la figura di un artista fondamentale, il cui nome è oggi pressoché sconosciuto in Italia: Jindřich Štyrský.

 

 

Nasce nel 1899 a Dolní Čermná, dove trascorre l’infanzia e la prima giovinezza. Nel 1920 decide di formarsi presso l’accademia delle belle arti praghese nota come AVU (Akademie výtvarných umění). Proprio a Praga incontra la pittrice Marie Čermínová, meglio conosciuta come Toyen, con cui stringe un sodalizio artistico destinato a durare moltissimi anni. Nel 1922 i due artisti vengono accolti con rispetto e ammirazione all’interno del gruppo Devětsil, dove intorno a Karel Teige si erano radunati tutti i giovani avanguardisti cechi. Proprio nelle parole di Teige si legge:

In mezzo al penoso ristagno e alla profonda noia della pittura ceca […] Štyrský e Toyen risvegliano in noi la fiducia in una futura fioritura dell’arte, ci permettono di credere in una fioritura poetica della nuova pittura. Non so se i loro quadri rappresentino la “pittura ceca”, forse no, […] le loro opere sono degli originali, non delle traduzioni dal ceco.

L’immagine di questa fioritura poetica è fondamentale per cercare di capire l’opera stessa di Štyrský. Insieme a Toyen, è difatti ideatore e teorico della corrente artistica che prende il nome di artificialismo. Prima di spiegare cosa effettivamente si delinea con questo termine, è necessario capire come viene intesa la figura stessa di pittore all’interno del contesto del Devětsil. Il pittore, come affermato da Štyrský in un discorso del 1928, è al tempo stesso un poeta. Tra la dimensione della poesia e quella dell’arte figurativa non esiste più alcuna separazione. Tutta la produzione legata al movimento poetista prima e a quello surrealista dopo dichiara, infatti, l’idea di una poesia totale, una poesia per tutti i sensi della percezione umana, intendendola nel suo antico significato legato al termine greco poesis. Nezval, uno dei più importanti poeti d’avanguardia, intendeva il poetismo come una ricerca volta a soddisfare la fame di poesia, rendere umano il mondo e vivificare la poesia. In senso ancora più estremo, il mondo stesso doveva essere concepito in quanto poesia. Questa idea sinestetica è quella su cui si viene a costruire tutta la produzione ceca interbellica, sia che si parli di letteratura in senso stretto, sia che ci si riferisca alla pittura.

I primi passi nel gruppo Devětsil vedono Štyrský impegnato con alcune mostre. Importantissima è quella del 1923, chiamata Bazar moderního umění (Bazar dell’arte moderna), la prima organizzata ufficialmente dal gruppo e definita come una “miscela di quadri e progetti architettonici con fotografie del mondo, manifesti e oggetti ready-made”. In questa prima mostra non si manifesta solo un atteggiamento ironico dichiarato nei confronti degli epigoni della tradizione, ormai concepita come sterile, ma anche un rifarsi al principio futurista dello “schiaffo al gusto comune”. Di Štyrský vengono esposte oltre quaranta opere eterogenee, tra cui anche alcuni fotomontaggi. Come si osserva nel quadro Il circo Simoneta, il legame con le soluzioni cubiste è ancora abbastanza forte e l’opera si inserisce appieno in una fase di transito verso nuove forme, più impostate sul colore e sull’elasticità delle forme. Nonostante ciò, l’origine di tale opera è da porre sullo stesso piano di quelle del poeta Nezval, al quale il pittore viene spetto affiancato. Nel quadro di Štyrský, come in Pantomima di Nezval, a dominare è l’atmosfera prediletta dai membri del Devětsil, quella del circo, degli acrobati e dei cabarettisti, la stessa dimensione clownesca del francese Pierrot. Difatti, è proprio Štyrský a illustrare l’edizione di Pantomima del 1924.

Verso la fine del 1925 Štyrský dipinge Paesaggio a scacchi, che rappresenta la definitiva rottura nei confronti dell’arte cubista, abbandonando l’ideale di natura, preferendo invece dare vita a una dimensione lirica caratterizzata da un principio vitale. Non sono solo le forme ad essere scomposte, ma l’omogeneità stessa del reale. Tutto viene infatti subordinato a un ordine differente, basato su un principio lirico e sulle leggi del sogno, tema particolarmente caro a Štyrský e che anticipa in parte la successiva ricerca surrealista. Un quadro molto simile, anche per i toni pastello utilizzati è Cimitero di campagna. La disposizione pittorica suscita delle associazioni tutt’altro che tradizionali tra gli oggetti, le vibrazioni che si colgono all’interno dell’opera sembrano rispecchiare immagini rilegate a uno spazio e ad un tempo che risiedono in una dimensione altra.

Fondamentali per Štyrský sono gli anni parigini, la decisione di trasferirsi nel cuore della cultura moderna viene presa insieme a Toyen nell’autunno del 1925. La capitale francese è in pieno fermento e iniziano a costituirsi i principi del movimento surrealista, nato intorno a Breton sulle ceneri del cubismo e del dadaismo. Il debutto parigino dei due pittori cechi avviene con la mostra L’arte d’aujourd’hui. Nell’atmosfera in cui viene organizzata la mostra convergono stimoli differenti, gli stessi ad influenzare sotto il cielo del Montparnasse Štyrský e Toyen nella loro teorizzazione dell’artificialismo.

L’artificialismo, nato nel 1927 con la pubblicazione del testo Artificielisme sull’almanacco RED I, proclama apertamente l’identificazione della dimensione poetica con quella pittorica. Si legge:

L’artificialismo si crea mediante una prospettiva inversa. Non lascia in pace la realtà, si sforza di immaginare al massimo. Senza manipolare la realtà, può goderne incessantemente, non ha l’ambizione di mettere a confronto il berretto di un clown con un oggetto geometrico, malgrado non abbia altro fascino se non quello dell’infallibilità, che tuttavia basta a soddisfare i poeti che hanno dimestichezza con la mistificazione. […] Non nega l’esistenza della realtà, ma non la manipola. Il suo interesse ha il proprio centro nella POESIA […]. Il quadro artificialista dona all’emozione poetica non solo un aspetto ottico, non ne amplia solo la sensibilità in senso visuale. Guida lo spettatore dal carosello della sua immaginiazione abituale, abbatte il sistema e il meccanismo della rappresentazioni continue. L’arificialismo astrae gli spazi del reale. Nasce uno spazio universale, che spesso sostituisce le distanze bidimensionali, le forme sono dunque distanze vincolate. Il colore da solo si sottopone a un processo di luce, a quel punto le anomalie di un mondo sparso e condensato non hanno alcuna influenza su di esso. Il valore delle tonalità e delle trasposizioni suscita un’atmosfera lirica. […] Le forme nel quadro coincidono con le fantasie dei ricordi. Il titolo del quadro non è né una descrizione né una denominazione del soggetto, ma un’indicazione del carattere e della direttiva delle emozioni. Il soggetto si identifica col quadro. Le sue forme si spiegano da sole.

Il nome scelto da Štyrský e Toyen deve in parte la sua origine all’opera di Baudelaire Les Paradis artificiels, un altro poeta francese molto letto dagli avanguardisti cechi. Nonostante sia un “ismo”, non ha nulla a che vedere con gli “ismi” del passato, vengono definitivamente rotti i ponti con una tradizione pittorica legata al decorativismo e volta alla ricerca di una raffigurazione fedele. Come affermato da Teige qualche riga sopra, la pittura artificialista non può forse essere identificata con l’aggettivo “ceca”, ma risiede al di sopra di ogni contesto nazionale. Per capire quali siano i punti chiave dell’artificialismo, occorre fare un passo indietro. Il modello a cui si rifanno inizialmente gli artisti cechi, come detto, è infatti quello cubista, la rottura dei piani di Picasso, detto con le parole di Apollinaire “una concezione che aspira ad elevarsi a creazione”. La conseguenza logica del cubismo la si può indentificare nell’astrattismo, corrente artistica garante della purezza pittorica, in cui la forma diventa contenuto, dove si sottolineano il ritmo delle linee e la loro tensione sullo sfondo della superficie. Due pionieri cechi dell’astrattismo sono František Kupka o Josef Šima. L’artificialismo ceco si basa proprio sulle sperimentazioni cubiste con l’intento di superarne gli epigoni, giungendo così alla rinuncia totale di soggetto, tema e modello naturale. A differenza dell’astrattismo, però, ciò che è centrale all’interno dell’artificialismo è la presenza di una vibrazione di colori che si compenetrano, un caleidoscopio di riflessi. La teoria stessa, formulata nell’almanacco RED nel 1927, si fonda sulla personalissima produzione dei due pittori, senza l’intenzione di creare una “scuola” in senso tradizionale, ma un movimento artistico dinamico. All’interno della ricerca artificialista, la pittura di Štyrský intende scoprire e superare ogni limite imposto ruotando, come afferma Philippe Soupault, attorno al proprio asse.

 

 

Le opere di Štyrský di stampo artificialista non sono una rappresentazione di figure astratte, ma di oggetti permeati di una dimensione altra, che ha del magico e che si lega indissolubilmente a quella del sogno. Nei quadri di Štyrský non c’è alcun riferimento ad un’astrazione di carattere concettuale, piuttosto un richiamo alla prospettiva vitrea di Breton. I titoli delle opere stesse hanno una relazione con la dimensione lirica, Teige li definisce in termini di “parole cariche di elettricità lirica”, che uniscono realtà e sogno. La funzione dei titoli non ha nulla di descrittivo, ma sono piuttosto animati da uno stimolo creativo di carattere primordiale, simile a quello che alimentava la gilda dei poeti russi dell’acmeismo.

Il ruolo di Štyrský non è importante, all’interno del contesto avanguardista ceco, solo per quanto riguarda la produzione di opere da esposizione. Egli, difatti, collabora attivamente con il Teatro Liberato di Honzl e realizza grafiche per numerose stampe dell’epoca, da quella del già citato Nezval a una nuova edizione delle opere di Mácha.

La poetica pittorica di Štyrský vira successivamente, in contemporanea con l’evoluzione dell’opera di Nezval, verso i dettami del nascente surrealismo praghese. Sulla scia di Breton e dei surrealisti francesi, con i quali gli esponenti dell’avanguardia praghese creano un legame profondissimo, viene organizzata infatti nel 1935 la prima mostra surrealista cecoslovacca. Alla vista dei quadri di Štyrský e Toyen, Breton commenta con le parole:

“La loro opera mi diede di nuovo motivo di credere che il surrealismo è oggi più che mai sulla strada della scoperta, cioè sulla strada della verità.”

 

 

Nelle opere di Štyrský diviene predominante il tema del sogno, che già giaceva assopito all’interno della fase precedente. Il sogno diventa strumento stesso di un’indagine volta ad analizzare il confine che lo separa dalla dimensione del reale. Il pittore si posiziona in bilico proprio su questo confine, in un ultimo slancio cabarettistico che ha il sapore dell’acrobata nezvaliano, sebbene in una forma più matura.  Un tipo di produzione molto particolare di Štyrský è inoltre rappresentata dalla realizzazione di fotomontaggi, ovvero prodotti estetici realizzati tramite un processo di assemblamento di tipologie di opere di fattura differente. Questo specifica tipologia di forma artistica si manifesta già nelle opere esposte al Bazar del 1925 e si intensifica durante la fase surrealista. Una soluzione estetica del genere, una sorta di feticismo del collage, la si può ritrovare anche in alcune poesie visive di Teige appartenenti alla fase poetista e nelle poesie di surrealiste di Nezval, che trovano il loro punto più estremo ne Il becchino assoluto (1937). Inoltre, questa specifica tecnica, che ha molto da spartire con la produzione francese d’avanguardia, trova una sua eco anche nella prosa ceca successiva, come nelle precoci sperimentazioni di Bohumil Hrabal, erede in un certo senso di questa ricerca poetica.

La rottura nei confronti dell’estetica tradizionale diviene, al livello di sperimentazione raggiunto da Štyrský, non solo netta, ma estrema e insanabile. Il rapporto con i tempi del passato non è più esprimibile in termini di una messa in discussione, ma piuttosto di un vero e proprio tradimento. In questo aspetto si può identificare il punto di arrivo della ricerca poetica di Štyrský, spezzata dalla sua morte prematura. Egli muore, infatti, nel marzo del 1942, per un motivo che in Tutte le bellezze del mondo di Jaroslav Seifert sembra essere quasi annunciato:

Povero Štyrský! Nei suoi ultimi anni giovanili fu malato. Morì giovane, durante la guerra, nel pieno della sua eccezionale opera artistica. Si abbreviò la via con il bere smisurato. Era il destino della sua famiglia. Il padre era un alcolizzato e morì in un modo terribile. Cadde, mentre era ubriaco, sulla stufa rovente e bruciò letteralmente vivo. Lo raccontava lo stesso Štyrský.

Quello che si può dire è che, nonostante la sua scomparsa precoce, i quadri ultravioletti dell’artificialismo di Štyrský vibrano ancora oggi appesi ai muri della Národní galerie praghese, come già durante la mostra della mansarda Aventino del lontano 1928.

 

 

Bibliografia:

Karel Teige, Od artificielismu k surealismu, Praha, 1938.
Karel Teige, Abstraktismus, nadrealismus, artificielismus, in: Kmen II, Praha, 1928.
Karel Teige, Ultrafialové obrazy čili artificielismus (Poznamka k obrazům Štyrského & Toyen), 1928, in: Svět stavby a básně. Studie z dvacátých let, Praha, Československý spisovatel, 1966.
Jaroslav Seifert, Všecky krásy světa, Praha, Československý spisovatel, 1993.
Josef Vojvodík, Ultrafialové obrazy, in: Josef Vojvodík, Jan Wiendl (eds.), Heslář české avantgardy, Praha, TOGGA, 2011, pp. 379-391.
Jindřich Štyrský, Texty, Praha, Argo, 2007.

1 commento

  1. Grazie Martina per l’interessante articolo su Styrsky, Toyen e Teige, che finalmente trovano eco, dopo molto, troppo tempo anche da noi in Italia.
    Da parte mia ho lavorato negli ultimi tre anni a un progetto chiamata “Surrealist Escapades”, “Surrealistische”Eskapaden”, che presentero’ a settembre al Forum Unterland, in Alto Adige. Si tratta di un progetto di 100 collage ispirati ai collage surrealisti di Teige, Styrsky e Toyen, in omaggio all’arte d’avanguardia ceca tra le due guerre. Se ne puo’ vedere una serie molto limitata su Facebook, per via delle restrizioni legate lla piattaforma e una un poco piu ampia su Pinterest sotto Alexander Dellantonio in una delle bacheche, oppure su Instagram sotto @alekdel. Un saluto e un invito a contattarmi.

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